Esposizione dal 13 al 30 novembre 2012 a Milano
Incisioni • disegni • acquerelli • oli • 20 libri unici illustrati con disegni originali
Catalogo con testi introduttivi di Franco Loi e Philippe Daverio
Inaugurazione:
Martedì 13 novembre dalle 18 alle 21
Luca Leonelli sarà presente
Indirizzo:
Il Mercante di Stampe
via Foro Buonaparte, 54
20121 Milano
Tel. & Fax: 02 72003371
Sito internet
Orari di apertura:
10-13 / 14,30-19 dal martedì al sabato
Entrata libera. Lunedì su appuntamento
La crisi c’è…
di Philippe Daverio
La crisi c’è… Parlo ovviamente di quella delle arti. Ed è nella sua sostanza semantica. Il XX secolo in un impeto di apparente democrazia aveva dichiarato che tutti gli esseri umani avevano diritto alla stessa dose di talento, il che è equivalso ad abolire il concetto di talento. Le avanguardie avevano sostenuto che ogni linguaggio era accettato, il che fu capito come se ogni linguaggio fosse accettabile, comprensibile, equivalente. La confusione che ne è risultata è tale che oggi si fa effettivamente fatica a capire: ogni manufatto può apparire come un’opera d’arte. Eppure il buon senso continua a farci percepire che fra l’opera d’arte che è un buon piatto di spaghetti con la pummarola in coppa e la Cappella Sistina vi deve essere una differenza accertabile.
Questo è esattamente il punto fermo del dibattito. Tale da far sì che all’arte attuale non s’interessa più nessuno, se non un nucleo militante e sacerdotale di iniziati, alcuni speculatori dai denti aguzzi come il pescecane cantato da Mackie Messer, un pubblico di falene che appare per le inaugurazioni e poi evapora, e infine alcune riviste di settore che stanno tirando l’ultimo respiro per mancanza di contributi pubblicitari.
Grande quindi il disordine sotto i cieli: la situazione è effettivamente eccellente. Nella vasta dimensione d’un mondo delle arti che si sente globale perché accede ad internet e si sposta low cost da una mostra all’altra, da una Biennale a quella successiva, rimangono nicchie di combattenti silenti intenti a proseguire con determinazione un lavoro che in tutto è simile a quello degli amanuensi del IX secolo durante le ultime scorrerie degli ungari e degli arabi. Sono i monaci del sapere, sono i custodi del talento.
Luca Leonelli appartiene a questo sparuto nucleo di resistenti. E sa benissimo che il talento senza sapere è del tutto inutile. Il talento va regolarmente esercitato con la prassi delle tecniche. E anche questo non è sufficiente per rimanere nel nucleo dei sapienti segreti. La scienza del fare non è sufficiente. Lo diceva già Rabelais: science sans conscience n’est que ruine de l’âme. La combinazione esoterica rimane la seguente: talento, abilità tecnica, densità dei contenuti. Roba difficilissima da trovare, a tal punto che al grande pubblico risulta del tutto incomprensibile.
Eppure Leonelli riserva delle sorprese inattese per chi ha l’occhio e la sensibilità privi di quei filtri conformisti che rendono il cervello opaco. Gli ho visto realizzare una serie d’incisioni dove la finezza della puntasecca si combina con la sapienza delle più complesse delle morsure. In dimensioni tali che queste opere spiegano anche allo sprovveduto la maestria dell’artista quando raggiunge i livelli del virtuosismo più complesso. Ho visto ciò che una volta si chiamava il capolavoro, cioè l’opera esemplare. E si combinano queste epifanie con tante altre opere, quelle che con un monitoraggio regolare ho avuto la fortuna di vedere nel lavoro di Leonelli. Passa egli dai percorsi ludici dei giochi di pennello, di penna o di acquarello, praticati come esercizi quotidiani della sua espressione, al pari delle esercitazioni pianistiche di scorrevolezza per chi affronta il palcoscenico, al consolidarsi in opere apicali quando sulla tela grande stende la materia colorata. Offre a chi lo frequenta il libro realizzato in copia unica per chi avrà la pazienza silente di ammirarlo e il dipinto che riassume e consolida il segno in fantasmagorie esistenziali e sopra reali. Apre una strada sconosciuta, offerta a pochi. Pronta agli esercizi della sensibilità di domani.
Dialogo con l’artista
di Franco Loi
La scienza e la filosofia di ogni tempo ci pongono di fronte alla consapevolezza di una realtà che sfugge alla nostra pretesa di padroneggiarla. Per questo Einstein ha scritto: “Non si perviene alle leggi universali per via di logica, ma per intuizione” e Planck ammonisce: “Più conosco e più mi trovo davanti al mistero”. Anche su queste basi, necessarie ad ogni ricerca scientifica, Holderlin poteva ribattere a Hegel che “la logica non può farci comprendere Dio, ma l’arte ce lo fa sentire”. Osservazione che ci offre l’opportunità di ribadire che ogni pretesa di rendere razionale o catalogabile l’opera d’arte non può farci dimenticare i tradizionali criteri d’osservazione e giudizio, tenendo conto anche del modo con cui ogni immagine si offre al nostro sguardo, alla nostra sensibilità, e del come il nostro essere ne viene investito. Brevi citazioni e considerazioni che mi sono state suggerite dall’arte di Luca Leonelli e dalla ricchezza del suo segno.
Comincerò da un’asserzione che il critico Mario De Micheli fece nel 1993 per introdurre una mostra del nostro artista: “Impulso, fervore, vertigine, intelligenza: è questa l’impressione immediata che vi prende davanti alle tele e ai suoi fogli. Leonelli vi aggredisce e non vi da pace. C’è in lui un’energia che eccita l’immaginazione”. E mi pare opportuno aggiungere che alla forza di questa espressività occorre spesso notare l’ironia, a volte autoironia, che attutisce o dilata gli effetti violenti e dà efficacia a quelli lirici. Molte sono infatti le immagini e le relative emozioni che ci catturano anche in questa mostra: gli sciami d’insetti, le teste in folla nelle più svariate circostanze (teatri, piazze, sale di conferenze) e poi il bambino dell’autoritratto, il falso profeta, l’oracolo, il maiale che s’incammina (il titolo del foglio è Allegretto o Andante), Adamo, Eva…
Guardiamo per un momento i vari “sciami” o “folle”. C’è sempre qualcosa che li percorre e trascina, sia in forma di chiome liberate che di voci o gesti o semplicemente contiguità di teste e crani. La maestria dell’artista conferisce al segno l’intensità di una corrente d’aria che tutto trascina o vorrebbe travolgere a un destino. Aveva giusto osservato Sabina Leonelli, in un suo scritto, che “le peripezie dello sciame disturbano e attirano tanto nella violenza delle rivolte senza esito quanto nell’ironia della fragile quiete”. Tuttavia, nel rappresentare l’ossessiva incombenza degli sciami, Leonelli evita di ridurre gli uomini a “massa”. Spesso, nel movimento, vengono coinvolte vere e proprie individualità: si notino i tanti occhi e le posture delle teste rispetto all’onda che vuole trascinarle. E qui entrano in gioco non solo l’ironia, ma anche la considerazione che l’artista ha per l’uomo e le sue risorse: chi si guarda alle spalle, chi osserva curioso, chi tenta di sottrarsi - a volte si raddoppiano gli occhi in una sola testa.
Le mani divengono spesso protagoniste nelle sue immagini: sappiamo che la gestualità è nel carattere dei popoli mediterranei, soprattutto degli italiani. Ecco il politico che fa del gesto quasi un rito, che sottolinea con le mani la retorica di certe asserzioni, i tentativi di coercizione o d’induzione. Così la bava che gli esce dalla bocca si trasforma talora in una striscia nera: è un accorgimento tecnico, si sa, ma rende evidente l’oscurità che cala sugli ascoltatori.
Il falso profeta (mezzotinto e puntasecca) emana a sua volta una tenebra - oscurità che cattura anche lui - se notiamo che ha gli occhi coperti dai propri capelli sciamanti. Non è mai diversa la sorte di chi predica il vuoto e di chi lo ascolta quando si tratta della ricorrente falsa profezia, poiché la parola non significa solo previsione di un futuro per le folle che lo subiscono, ma anche per chi crede di dominarlo o provocarlo. Si pensi alla sorte di capi di Stato o “rivoluzionari” nei vari momenti della storia. Si è detto spesso che la “rivoluzione mangia i suoi figli”, ma accade anche per i falsi profeti o statisti.
È soltanto la parola della grande arte che, come scrive Carlo Marx, “è sempre il termometro del tempo” in quanto riflette la condizione reale dell’uomo nel tempo o, come scrive Laozi, “è scoperta dell’eterno presente all’interno di ogni storia” aggiungendo che la comprensione vasta e lontana e profonda del non-sapere è il più concreto approccio al fluire incessante delle cose e delle profezie. Il falso profeta, infatti, rimanderà sempre al futuro la realtà che agita davanti agli uomini, sia che parli di patria o teologia, o di qualsiasi altra ideologia - si pensi a “il sole dell’avvenire” e alle “sorti progressive”.
Ne abbiamo già parlato, ma desidero riprendere quest’altro aspetto del “fare” di Leonelli: l’umorismo, lo sguardo sulla cosidetta “serietà umana” reso tanto più evidente dalla “conoscenza e penetrazione dell’anima individuale e sociale che a volte può spingersi sino alla commiserazione” - vedi gli autoritratti.
Sostiamo per un momento davanti a Oracolo (acquaforte e acquatinta lavorata al brunitoio). Un rapace nero incombe in uno spazio di luce - in alto un corpo ovale sospeso a un filo - in basso e a lato un pubblico leggermente delineato che volta le spalle a queste immagini. Perché? Che vuole rappresentare l’ovale pendulo? Una meteora, un uovo destinato a partorire nuove vite? Oppure è solo un orpello?
E poi la straordinaria puntasecca Ricordi d’infanzia, ritratto a due anni. Il corpo di un bambino con due volti: l’uno proteso a guardare verso l’esterno pare intento a scoprire e imparare il mondo. Mi fa pensare a Jung quando parla dello “archetipo” nel profondo di ogni uomo, ma anche alla scritta sul tempio di Delfos, ripresa dai latini col “Nosce te ipsum” e a tutta la tradizione culturale che invita l’uomo a “conoscere sé stesso”. Ma perché aggiungere a quel corpo un secondo volto bendato che sembra richiamare l’attenzione del primo o distoglierlo dalla propensione a lasciarsi afferrare dall’esterno? Questa immagine potrebbe alludere alla necessità che fin dai primi momenti di vita costringe l’uomo a osservare e cercare di capire il mondo, oppure gli occhi bendati potrebbero alludere all’interiorità non ancora pressante, all’esiguità del mondo interiore di un bambino. Proprio quella benda potrebbe dirci che siamo noi uomini a doverci voltare, che la maturità consiste appunto nell’incessante equilibrio tra la conoscenza esteriore e quella interiore e che, se questa regola non viene osservata, il rischio più grande è la pazzia e quello più diffuso è già compreso nel segno degli sciami o nella schiavitù a una ideologia. Le due teste - che sembrano tendere a una sola - dovrebbero almeno confrontarsi nel tentativo di dare al bambino un unico volto.
Autoritratto a quarantadue anni (puntasecca). È sicuramente il foglio più carico d’ironia. Anche dalla sua bocca esce lo sciame che, in parte si perde nel vuoto (la chiacchiera?), ma in parte rientra nell’uomo, avvolgendolo. Di che? Della sua stessa arte o del suo dire divenuto consapevole o dell’ascolto interiore che il suo Io chiede a gran voce? Oppure è la coscienza stessa dell’artista che vuole riappropriarsi dello sciame non del tutto inteso?
Vorrei ora soffermarmi su altri tre fogli esposti: due raffigurano Adamo ed Eva, il terzo una figura possente seduta su una sedia in un bosco (Figura nel bosco). Adamo mi sembra un’altra proposta della serie degli autoritratti. Non che ci sia una somiglianza con l’autore, ma io ci leggo uno degli aspetti meno riconosciuti della sua indole: la dolcezza e insieme la capacità di guardare e capire e ancora la condiscendenza di fronte a l’ineluttabile scorrere degli eventi e dei giudizi. Ciò non diminuisce “la sua capacità d’urto” a cui De Micheli fa menzione in altra parte del suo saggio. Adamo è appunto, come dice la traduzione italiana della Genesi, qualcuno che si vede nudo e si nasconde. Non perché abbia paura, aggiungo, ma perché si sente inerme di fronte all’immensa responsabilità. L’immagine di Eva, invece, è possente. Sempre dalla Genesi, “Non è bene che l’uomo sia solo, gli voglio dare un aiuto che sia simile a lui”. Si guardi con attenzione questa figura - la sensualità è più marcata nel ventre e nei seni, mentre le gambe sono forti, salde. Da questa immagine prorompe una tale energia che la delicatezza della peluria sessuale riesce appena a ingentilire. “Tu sei bella, amica mia / e in te non c’è nessuna macchia…” (IV Cantico).
E infine, l’eccezionale puntasecca Figura nel bosco. Un grosso corpo accasciato su una sedia, un volto stremato che guarda e non guarda. E ciò che vede è inintuibile. Il bosco, magistralmente disegnato, è alle sue spalle. Mi si scuserà se ho dato tanto spazio al contenuto di alcuni fogli che mi paiono fra i più significativi dell’arte di Leonelli senza accennare all’eccezionale abilità tecnica dell’artista, arricchita dall’esperienza e dalla cultura, ma do per scontata la sua “manualità”. Scrisse Eugenio Tomiolo, pittore, incisore, poeta e grande amico: “Non basta la tecnica per creare un’opera d’arte, questa può solo renderci liberi alle possibilità della materia e al nostro modo di trattarla”.
Sono convinto che, avendo ognuno un suo modo di guardare e d’intendere, o richiamare alla propria conoscenza quanto vede e che, essendo facoltà della vera arte di sollecitare ad ogni persona persino la propria memoria inconscia, qualche riferimento alle intenzioni e ai diversi aspetti di una immagine possano essere utili a tutti, compreso lo scrivente.